Manovra Contributo al dibattito sugli Enti Locali

Il Vento cambia ma in provincia di Rieti accende la brace.
In questa estate già rovente gli animi si surriscaldano in Provincia di Rieti, un territorio vastissimo confinante con le provincie di Macerata, Ascoli Piceno, Perugia, Terni, Viterbo, Roma e L’Aquila popolato da 160.000 persone che abitano 73 Comuni, una grande comunità locale minacciata dal Decreto Legge “Ammazza enti locali” di Ferragosto.
I reatini temono la cancellazione dell’ente Provincia e l’accorpamento dei Comuni con popolazione inferiore ai 1000 abitanti sacrificati sull’altare del risparmio dei costi della politica. Le annunciate misure di contenimento della spesa si traducono in minore rappresentanza politica nelle istituzioni e quindi in un risparmio di democrazia in evidente e clamoroso contrasto sia con la concorde volontà di un ramo del Parlamento, la Camera dei deputati, che appena quattro mesi fa ha approvato la proposta di legge “Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni” presentata da Realacci, Lupi, Brunetta e quasi 200 parlamentari di tutti gli schieramenti ed ora ferma al Senato in attesa di concludere il suo iter di approvazione, che con la martellante priorità politica della Lega in materia di federalismo e di localismo.
C’è da chiedersi come mai il modello comunale, piccolo ed efficace, virtuoso ed emblema di migliore qualità di vita e di gestione ottimale del territorio abbia perso colpi così rapidamente, benché contemporaneamente le grandi città non abbiano certo migliorato la qualità e disponibilità dei servizi di base né si siano trasformate in modelli di comunità inclusive da un punto di vista sociale: forse le piccole comunità locali, portatrici d’identità territoriale ma anche di pervicace volontà di partecipazione sociale e politica, fanno paura perché non si arrendono alle difficoltà economiche, all’isolamento, alle spinte verso modelli di vita standardizzati e livellanti e si ostinano a voler dire la loro, a resistere per continuare ad esistere?
Il recente risultato referendario ha inconfutabilmente dimostrato, in un territorio molto articolato come quello della Provincia di Rieti questa volontà civica, questo desiderio insopprimibile di democrazia diretta che ha spiazzato molti partiti e ha condotto alle urne un sorprendente numero di abitanti della Valle Reatina, degli altopiani di Leonessa ed Amatrice, delle Valli del Salto, del Cicolano e della Sabina: questa alleanza civica a 360° ha contribuito a cambiare importanti norme sull’energia, sulla giustizia e sulla gestione dei servizi idrici sconfessando la politica del Governo nazionale e locale soprattutto in materia di beni comuni come l’acqua.
Sembra fatto apposta: nell’anno in cui si festeggiano, non proprio in modo unanime, i 150 anni di esistenza dello Stato unitario il Governo mina ulteriormente la rappresentanza politica e la partecipazione democratica all’amministrazione pubblica, prevedendo la cancellazione dei Comuni con meno di 1000 abitanti e le Provincie che ne abbiano meno di 300.000; dopo aver negato la possibilità di esprimere in Parlamento la preferenza per un candidato ed aver alzato al 4% il quorum minimo per avere rappresentanti al Parlamento italiano ed europeo ecco la risposta all’elettorato che ha osato raggiungere il quorum con il più antico strumento di democrazia diretta, il referendum abrogativo, dopo quasi 20 anni di sconfitte.
Colpire l’Ombelico d’Italia, il soprannome “geografico” di Rieti, è un colpo al cuore della democrazia e alla ricchezza delle tradizioni comunali, vero scrigno di valore delle genti italiche, motivo di vanto e orgoglio e motore dell’economia sostenibile del territorio, legata al turismo, ai beni culturali, all’agricoltura di qualità, all’eccellenza enogastronomica, all’artigianato, all’arte e alla musica, in poche parole alla diversità che rende il made in Italy sinonimo mondiale di eccellenza. Ma al Governo della semplificazione e del federalismo che come prima promessa mantenuta ha cancellato l’ICI, ovvero la principale entrata comunale, questo scenario sfugge e per risparmiare pochi spiccioli, prima riduce consiglieri e assessori e poi vuole spacchettare, in piena e ormai innegabile crisi economica, l’impianto degli enti locali cavalcando maldestramente il ciclone dell’antipolitica quando buona parte degli amministratori dei piccoli Comuni esercita il suo mandato gratis o con un rimborso spese e qualcuno per difendere il suo territorio reso celebre in tutto il mondo ci rimette la vita come il sindaco di Acciaroli Angelo Vassallo, assassinato un anno fa.
La tradizione dei Comuni è antecedente all’istituzione dello Stato italiano, delle Provincie e delle Regioni ed è paradossale che siano proprio i neopadani, eredi della Lega di Pontida che guidino la dissoluzione di tale patrimonio per risparmiare qualche baiocco. Occorre invece andare in direzione opposta, combattere gli sprechi e favorire le buone pratiche locali, prendere esempio dai comuni virtuosi, (buona parte al nord, ma per esempio Oriolo Romano e Corchiano il cui Sindaco ha portato la sua esperienza nel Convegno sull’acqua a Casperia organizzato dal Comitato referendario sono a due passi) e considerare la partecipazione ed il controllo da parte dei cittadini, attivi in migliaia di associazioni e comitati, elementi preziosi per migliorare il governo locale e nazionale, imparare dalla gestione virtuosa e pubblica dei beni comuni che la buona politica locale è il patrimonio che darà i suoi interessi nella buona pratica politica regionale e nazionale, unica strada per recuperare credibilità e credito all’esterno.
Nei Comuni italiani, anche nei più piccoli si conservano le radici di un popolo, sono lo scrigno dell’identità culturale, la memoria delle famiglie dalle quali proveniamo, i custodi dei dialetti e delle ricette culinarie, dei segreti per costruire un oggetto o coltivare una pianta, un mondo antico ed insieme moderno cui i politici possono e debbono rivolgersi senza il timore di coinvolgere la popolazione perché i cittadini non sono elettori solo in campagna elettorale e anche se poi vanno a vivere nelle grandi città, al paese conservano in cantina la lunga falce fienaia con la quale lavorare il grano e fare le rivoluzioni.


Ines Innocentini e Andrea Cortese dell’associazione Slow Food Sabina.

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